Il rientro anticipato dalla malattia: le nuove regole

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Il rientro anticipato in servizio del lavoratore rispetto alla data di fine prognosi indicata nel certificato medico originario non è rimessa alla semplice “buona volontà” delle parti ma, al contrario, richiede l’emissione di un nuovo certificato medico di “rettifica” della prognosi.

Questo è quanto si evince dalla lettura di un recente messaggio Inps (Inps, messaggio 12 settembre 2014, n. 6973).

Prima di approfondire tale specifico aspetto, va anzitutto ricordato che la certificazione medica di malattia è oggi disciplinata dal Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (recante Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il cui articolo 55- septies dispone quanto segue:

a) nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale;

b) in tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all'Istituto nazionale della previdenza sociale, secondo le modalità stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato.

A tale disposizione si collega l’articolo 25 del “Collegato lavoro” (ossia la legge 4 novembre 2010, n. 183), il quale stabilisce che, al fine di assicurare un quadro completo delle assenze per malattia nei settori pubblico e privato, nonché un efficace sistema di controllo delle stesse, in tutti i casi di assenza per malattia dei dipendenti di datori di lavoro privati, per il rilascio e la trasmissione della attestazione di malattia si applicano le disposizioni appena sopra citate.

Come già precisato dall’Inps, l’invio del certificato telematico all’Istituto opera attraverso il Sistema di Accoglienza Centrale (SAC), reso disponibile dal Ministero delle finanze; lo stesso sanitario che ha emesso il certificato può inviarne uno nuovo con il quale annulla il precedente o lo corregge, come avviene appunto laddove insorga la necessità di ridurre la prognosi.

Va anche ricordato che a carico di entrambe le parti del rapporto sono posti specifichi obblighi volti alla tutela della salute e che, nel caso di malattia, il datore di lavoro non è posto in condizione di conoscere la diagnosi, ovvero il tipo di patologia che affligge il proprio dipendente, dato che sulla copia del certificato a lui destinata tali indicazioni non sono visibili.

Quindi, nel caso in cui un lavoratore, già assente per malattia, desideri rientrare anticipatamente in servizio, poiché il datore di lavoro non è in grado di valutarne le effettive condizioni di salute, è assolutamente necessario che il lavoratore provveda a farsi rilasciare dal proprio medico curante un nuovo certificato medico di rettifica della prognosi originaria; in caso contrario, un’eventuale “ricaduta” potrebbe comportare la responsabilità del datore di lavoro alla luce del generale principio di tutela (e responsabilità) contenuto nell’articolo 2087 del codice civile.

Illuminante, a tale proposito, quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza 5 febbraio 2014, n. 2626, la cui massima così recita: “pur se l'art. 2087 del codice civile non prevede una ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, è altrettanto vero che, per la sua natura di norma di chiusura del sistema di sicurezza, esso obbliga il datore di lavoro non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in materia antinfortunistica, ma anche all'adozione di tutte le altre misure che risultino, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, salvi i casi di comportamenti o atti abnormi e imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non di colpa di quest'ultimo”.

 

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